LAVORATORI DIPENDENTI, PRECARI E PENSIONATI

Pubblicato il da Simon Arturo Paride

 

 

DOCUMENTO PRESENTATO AL TAVOLO DI LAVORO  DI IDV PROVINCIALE PER L’ELABORAZIONE DELL’EMENDAMENTO DA PRESENTARE ALL’IDV REGIONALE E NAZIONALE.

 

L’ITALIA DEI VALORI E’IL PARTITO DEI LAVORATORI DIPENDENTI , DEI PRECARI E DEI PENSIONATI. ( a cura di Arturo Paride Simon, presidente del Circolo tarantino “art. 36”   Tel. 3396689179; e-mail: zaar2004@libero.it)

 

Le categorie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati hanno, da sempre, sostenuto l’economia dell’Italia e, da sempre, hanno subito una condizione di vita sociale condizionata dal salario e dallo stipendio, che non sono stati quasi mai, sufficienti per svolgere una vita dignitosa e senza affanni. Da sempre la retribuzione si è scontrata con i prezzi del mercato nazionale e locale, sempre troppo alti  rispetto allo stipendio. Vita di affanni, scandita dalla selezione dei costi da sostenere per portare avanti la famiglia. Il costo dei fitti delle case costituiva una delle maggiori spese che, quasi dimezzava gli stipendi e i salari. Troppo pochi gli interventi delle politiche sociali, sempre tantissime le promesse di salari più alti durante le molteplici campagne elettorali, puntualmente mai mantenute.

La questione salari è oggi, più che mai, sotto gli occhi di tutti! Da più fonti viene suggerito di aumentare i salari per ripristinare il loro potere d’acquisto. La questione fiscale è, di nuovo, oggetto di campagna elettorale e di pubblicità filo governativa. La questione è ben più grave.

Negli ultimi quindici anni la condizione dei lavoratori dipendenti è gravemente peggiorata! Prima si riusciva a far quadrare alla fine del mese la retribuzione con i costi sostenuti, oggi c’è chi non  arriva  neanche alla terza settimana del mese!

Prima di passare ad una disamina più analitica, faccio subito la mia proposta, rimasta nel cassetto da almeno due anni! Creare un polo unitario dei lavoratori dipendenti, dei pensionati e dei precari. Un polo che sarebbe stato un “movimento” o un “partito” politico. L’idea nasce da un contesto storico particolarmente adatto, dalla considerazione che  le predette categorie non sono più tutelate né dai sindacati, né dai rappresentanti dei partiti politici di sinistra e della sinistra radicale, da sempre ritenute le forze più importanti a sostegno dei lavoratori, ma, da ormai troppo tempo, occupati a mantenere i loro piccoli o grandi apparati di potere.

E  questa massa di persone è rimasta da sola a combattere, oramai, la sopravvivenza!!! Sono milioni di persone disunite, i cui voti elettorali sono sparsi irregolarmente fra i vari partiti. E proprio questa disseminazione selvaggia li indebolisce ancora di più. Restano chiusi, ognuno nei propri contratti di lavoro, a fare i conti col proprio datore di lavoro e il debole sostegno dei sindacati.

Ecco l’opportunità che si presenta oggi al neo partito Italia dei Valori: quella di diventare il partito  dei lavoratori. Da domani, a pochi giorni dal Congresso, e per sempre!!!

COME?    a)  creando un dipartimento autonomo nazionale con ramificazioni fino al piccolo territorio (Regionale, provinciale, cittadino);

                 b) istituzione di un apposito blog per pubblicizzare,sostenere e divulgare, via web, i programmi di sostegno ai lavoratori dipendenti, pensionati e precari;

                 c) cartelloni e manifesti affissi nelle piazze delle città più importanti; cartellonistica ambulante;

                 d) manifestazioni di piazza in ogni città per spiegare le ragioni della nostra scelta;

                 e) presenza, a tutti i livelli dirigenziali di IdV, nelle fabbriche, nelle imprese, nelle scuole, nelle varie istituzioni a sostegno dei contratti di lavoro e delle lotte contro i licenziamenti e le cassa integrazioni,

                f) divulgazione della nostra scelta attraverso tutti gli apparati della comunicazione di massa (radio, tv, giornali, sia nazionali che locali);

                g) convegni e dibattiti con docenti universitari e economisti sostenitori di una economia basata sulla domanda e non sull’offerta.

L’intento deve essere quello di riunire le tre categorie di lavoro in un unico apparato che renda forti i lavoratori loro appartenenti  ora e per sempre.

PERCHE’ INVESTIRE  SUI LAVORATORI DIPENDENTI, PENSIONATI E PRECARI:

Questione sociale: disuguaglianza e discriminazione sociale. Applicazione dell’art. 36 della Costituzione italiana.

Questione economica: partire dai lavoratori per risolvere il problema economico stagnante.

La questione sociale sposa  quella economica!

 

DISAMINA

Da molto tempo l’economia mondiale è sostenuta dalla politica dell’offerta;  una politica che favorisce la stabilità dei prezzi attraverso diversi incentivi e attraverso la concorrenza. Una politica che ha avuto il suo culmine con la cosiddetta “globalizzazione” e che ha portato alla crisi economica attuale.

Per tentare di rilanciare l’economia bisogna applicare il principio keynesiano, basato sul ruolo fondamentale della domanda.

L’Italia, a parte la tediosa e continua campagna pubblicitari governativa, è stretta in una morsa di debiti, è ferma da anni sulla produttività ed ha serie difficoltà a risalire la china!

Ecco perché bisogna partire dai lavoratori dipendenti, dai pensionati e dai precari. Quanto prima si otterrà un VERO, SOSTANZIALE aumento salariale per le categorie mal retribuite, tanto prima si potrà avere un riequilibrio economico, attraverso il rilancio dei consumi a partire dai ceti medio-bassi della società, cosicché la domanda sarà forte e le imprese ricominceranno a produrre.

Bisogna pensare a una redistribuzione del reddito attraverso l’aumento del prelievo sui redditi alti, così da ottenere anche la progressività delle imposte, così come detta la Costituzione e sulle rendite finanziarie. Dobbiamo sostenere forte questa strada, perché è l’unica che coniuga giustizia sociale e crescita economica.

Anche il governatore della Banca d’Italia sostiene la necessità di ridurre le aliquote d’imposta per i lavoratori dipendenti e le imprese, affinché venga rafforzata la produttività. Però i destinatari di tale intervento non possono essere messi sullo stesso piano sia perché c’è una diversa propensione al consumo sia perché bisogna partire – necessariamente – da un solo destinatario:il lavoratore dipendente!  La produttività non cresce abbassando i salari; ciò dipende dalle scelte imprenditoriali: investimenti, innovazione, formazione, sicurezza sul lavoro, benessere nelle condizioni di lavoro. Nel nostro Paese le condizioni di lavoro sono pessime, così come la sicurezza (centinaia di morti all’anno! Primato europeo.). L’intensità del lavoro (grazie alla politica di sostegno e ai guai provocati dai grandi monopoli dei capitali) è aumentata del 28%, sono stati detassati anche gli straordinari; dal 1996 i problemi mentali legati al lavoro sono sensibilmente aumentati del 3,2% (ansia, insonnia, stress e suicidi). Cosa dire del tempo libero? NESSUNO NE PARLA! Quanto tempo si passa in famiglia, quanto con gli amici, quanto su un libro o al cinema e al teatro: Troppo stanchi, troppo compromessi dall’orario di lavoro e dagli impegni di lavoro. Troppo soli, troppo tristi, poca cultura, pochi confronti, poca solidarietà, poca fantasia , MOLTA TV!  Poca libertà, poca possibilità di partecipazione alla vita reale, poche prospettive per il futuro, tanta delusione! Tutto ciò ci rende deboli ed impotenti di fronte alla soverchia di piccoli e grandi potentati. Tutto ciò non è sicuramente foriero di crescita della produttività. D'altronde, in Italia soprattutto, il problema salariale è sotto gli occhi di tutti. I nostri lavoratori guadagnano MENO DELLA MEDIA dei 30 paesi dell’O.C.S.E. e MENO DELLA MAGGIOR PARTE DEI PAESI EUROPEI. Il lavoratore medio italiano guadagna la metà di un collega scandinavo, paga uguali tasse e non ottiene né servizi né sussidi.

L’aumento del petrolio, collegato ai carburanti e di conseguenza alle tariffe di luce e gas, ai generi alimentari, soprattutto quelli legati al grano, (prodotti di primaria necessità), hanno generato una crescita dell’inflazione. Questo dato si collega ad un altro dato rilevante  e dilagante, che si è manifestato nel nostro Paese: lo stato di povertà! I salari più bassi d’Europa e dei paesi dell’Ocse hanno determinato il fenomeno dei “lavoratori poveri”, sempre più in crescita.

Bisogna intervenire senza indugio e adeguare le retribuzioni al costo della vita. L’art. 36 della Costituzione grida vendetta e ci ricorda: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’ esistenza libera e dignitosa”.  Ecco perché, nasce, in Taranto, in seno all’Italia dei Valori, il Circolo intitolato al predetto articolo della Costituzione.

Il ridimensionamento reale del reddito dei lavoratori dipendenti ha contribuito a contrarre i consumi e a soffocare il mercato interno, non producendo alcun beneficio, neppure quello paventato da governanti e imprenditori: l’aumento dell’occupazione!

Bisogna acclarare e applicare una nuova regola: qualora l’inflazione reale superi quella programmata, la differenza corrispondente alla diminuzione del valore reale delle retribuzioni, deve essere inserita nella busta paga entro il primo mese dell’anno successivo a quello di riferimento.

In Europa si registra

a)     una forte diminuzione del potere d’acquisto dei salari, incentivata dai vertici che chiedono un ulteriore contenimento dei salari, specialmente quelli del pubblico impiego;

b)    l’aumento eccessivo delle retribuzione dei dirigenti:

c)     il forte divario fra retribuzioni degli uomini e quelle delle donne;

d)    una disparità retributiva, dato dall’aumento di quelle più alte rispetto a quelle più basse.

In Italia,i dati sono ancora più allarmanti:  dal 2001 al 2006, la proporzione tra le retribuzione dei dirigenti e quelle impiegatizie, è passata da un rapporto di tre a uno ad un rapporto di quattro a uno; l’andamento della crescita del salario è, dal 2000 al 2005, spropositatamente minore a quella europea (Crescita salario medio europeo 18% contro quella italiana del 13,7%. Gran Bretagna, Paesi bassi, Finlandia e Norvegia  crescevano del 20%). Le retribuzioni nette medie del lavoratore italiano, dal 1996 al 2002 sono rimaste congelate; il potere d’acquisto è fermo al 1996, con un lieve, marginale aumento nel 2006. La perdita del potere d’acquisto per un lavoratore dipendente con una retribuzione annua lorda di € 24.890 ha comportato un effettivo ammanco nelle sue buste paga di € 1.210  complessivi, in circa due anni, più la mancata restituzione del fiscal drag di € 700.

Questo il conteggio statistico, ma la traduzione nella vita reale è stata, subito dopo l’avvento dell’euro, che uno stipendio di lire 2 milioni ( pur comprensivo della perdita del valore d’acquisto) bastava ad arrivare “alla fine del mese, mentre 1032,92 € non bastano per sopravvivere. Abbiamo la sensazione che il valore degli stipendi  siano dimezzati, così come prevedeva il cambio,ma così non è, perchè molti prezzi (soprattutto di generi di primaria importanza) sono aumentati più del 300 e 400%.

Ad aggravare la condizione salariale italiana contribuiscono:

la mancata redistribuzione della produttività che, anche quando c’era, procurava crescita dei profitti per le imprese e non per le retribuzioni;

il declino della produttività; il tasso d’occupazione dei lavoratori anziani più basso d’Europa; la percentuale dei lavoratori precari più alta d’Europa; la condizione dei lavoratori giovani: i più sottopagati; i salari d’ingresso sono inferiori a € 1000 mensili; un apprendista fra i 15 e i 24 anni guadagna 737 € mensili; un occasionale fra i 15 e i 34 anni 770 €; un co.co.co. o co.pro.co. circa 900 € mensili. Il 55% dei giovani, fra un’età compresa fra i 17 e 24 anni, percepisce uno stipendio inferiore a 800 €, nella fascia tra i 25 e 32 anni gli stipendi variano da 800 a 1000 €. Un milione seicento78 mila giovani, fra i 18 e 34 anni, (circa il 13,7% della popolazione lavoratori giovanili) sono poveri. Così come il 12,9% di giovani capofamiglia o coniugati, così come il 45,8% se sono sposati con tre o più figli. All’interno dell’area dei lavoratori dipendenti, i giovani si trovano all’ultimo posto con un salario di € 854, dopo i lavoratori del mezzogiorno (€ 969); le lavoratrici (€ 961); lavoratori delle piccole imprese (€ 866); lavoratori immigrati (€ 856).

oltre  a QUESTI TRISTI PRIMAti, registriamo un debito pubblico enorme (superiore al 100% del PIL) e ogni anno bisogna destinare il 4,5% del reddito nazionale al rimborso del debito; l’istruzione secondaria  dei giovani lavoratori è del 13% inferiore a quella europea (nel nostro Paese solo l’11% dei giovani fra i 30-34 anni possiede il diploma d’istruzione superiore. (solo la Romania e la Slovacchia trovano posto dopo noi italiani!).

L’investimento per la ricerca è dell’1% del PIL, mentre in Francia è del 3%, del 3,5% in Danimarca e Germania, del 4% in Svezia.

Per le politiche sociali spendiamo molto per gli anziani, pochissimo per l’indennità di disoccupazione, per la famiglia, per la lotta all’esclusione sociale, per l’edilizia sociale.

Per aprire una nuova impresa ci vuole un passaggio di circa 16 pratiche, che, in termini temporali comportano 62 giorni  lavorativi, mentre in Germania se ne spendono 45 e in Danimarca solo 3.

Tre anni fa (2006), oltre 14 milioni di lavoratori guadagnavano meno di € 1300 al mese (nell’impresa il 66,20% e il 90% di donne, percepiva meno di 1300 €); circa 7,3 milioni meno di 1000 €.

Con la politica economica attuale la lenta crescita delle retribuzioni è collegata alla lenta o mancata crescita della produttività (dal 1998 al 2007 è più evidente questo dato!). In pratica la crescita della produttività, da quelle date, in Italia è stata del 3%, in Germania dell’8,5%, del 20% in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America e, comunque, la distribuzione di dette produttività è stata per il 13% destinata al lavoro e l’87% alle imprese.

Nel periodo 2002-07, la PERDITA del potere d’acquisto dei redditi delle famiglie con “capofamiglia operaio o impiegato” si contrappone alla CRESCITA del potere d’acquisto delle famiglie degli imprenditori e dei liberi professionisti.

Le manovre fiscali (compresa quella che stanno pubblicizzando in questi giorni) dei governi di centro destra hanno allargato il divario a sfavore dei redditi bassi.

Il guadagno cumulato, nello stesso periodo, dagli imprenditori e liberi professionisti è stato di circa 11.984 €, mentre gli operai hanno perso circa 2.592 € e gli impiegati ben 3.047 €.

Non tutti sanno, anche fra i lavoratori dipendenti, pensionati e precari, quante sono le imposte a cui sono sottoposte le retribuzioni. Dal prelievo diretto sulla busta paga a quelle successive sono circa 26!   Sulla busta paga vengono trattenute ritenute erariali (irpef, add.le regionale e comunale) e contributi previdenziali (Inps, TFR, Fondo credito, ecc.). Il netto, per coloro che percepiscono meno di 23.000 € annui, non basterà ad arrivare alla fine del mese perché paghiamo:

l’accise (più del 50% del costo) e l’I.V.A sul carburante; l’IVA sui beni non alimentari (più del 15% del costo);  sui beni alimentari (più del 7% del costo); sui vestiti (il 18% circa); sui divertimenti (circa il 19%); sulle vacanze  (circa il 18%); sulla manutenzione della casa (circa il 3,7%); sul telefono (circa il 7%); sul riscaldamento ( su cui paghiamo anche le imposte di consumo e le addizionali  per l’11%  e l’Iva  dell’8%); Enel (addizionali varie 6,5% e Iva 4%); per l’assicurazione auto (varie per l’8% del costo);  Lotto e super enalotto ( più del 50% del costo di imposte sui giochi); sigarette (il 90% circa del costo per le accise). Poi paghiamo: il bollo auto; TIA/TARSU o tassa rimozione rifiuti urbani; canone tv; tasse scolastiche; marche da bollo; francobolli, ticket sanitari, bolli sugli estratti conto bancari.  Alla fine il nostro stipendio lordo è ridotto del 27% circa per imposte e contributi diretti e del 13% su quelle indirette.

Da questi dati e dal resoconto sui lavoratori precari e sui pensionati (che è in fase di elaborazione) che deve partire l’Italia dei Valori (da Taranto) per divulgare sempre le notizie, per sostenere i lavoratori dipendenti , precari e pensionati, affinchè le retribuzioni siano subito aumentate a sostegno di una vita dignitosa; i salari e gli stipendi siano successivamente adeguati al potere d’acquisto e all’inflazione reale;  i contratti a tempo  determinato siano convertiti, con una programmazione anche a lungo termine, in contratti a tempo indeterminato; bisogna, subito, affrontare il problema legato alla mancanza di tempo libero!  

 

 

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